Esteri

Xi Jinping ignora l’Europa sulla guerra russa all‘Ucraina

Strappare una promessa, o anche solo un’apertura, sulla guerra in Ucraina al presidente cinese Xi Jinping era una missione impossibile. Ci hanno provato comunque Ursula von der Leyen ed Emmanuel Macron, negli incontri bilaterali e nel trilaterale, attorno a un tavolo dalle dimensioni mastodontiche, che si è svolto nella Grande Sala del Popolo, affacciata su piazza Tiananmen, al centro di Pechino.

La Cina non si smuove
Guerra e commercio erano i temi cruciali sul tavolo e sul primo difficilmente il presidente francese e quella della Commissione possono cantare vittoria. I due hanno ribadito in tutti i modi la richiesta al governo cinese di un’efficace pressione sulla Russia per porre fine al conflitto.

«Essendo un membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha una grande responsabilità nell’usare la sua influenza in un’amicizia costruita da decenni con la Russia. E contiamo sul fatto che la eserciti davvero e sia molto chiara nei messaggi», ha spiegato una stremata von der Leyen nella sua conferenza stampa finale. Anche Macron ha voluto rimarcare il ruolo della Cina nella «costruzione della pace».

La necessità di un ritiro delle truppe da parte russa e del rispetto dell’integrità territoriale dell’Ucraina è stata sottolineata con determinazione sia dalla presidente della Commissione che dal capo dell’Eliseo nella parte pubblica dell’incontro trilaterale, a favore di telecamere.

Il messaggio, reiterato anche in privato, è stato risoluto, e accentuato anche da un’altra delle risposte di von der Leyen in conferenza stampa: un’eventuale fornitura di armi da Pechino a Mosca danneggerebbe significativamente le relazioni cinesi con l’Unione europea.

Parole leggermente più soft, ma sulla stessa linea di quelle pronunciate un giorno prima dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg a Bruxelles in una sorta di avvertimento: «Qualsiasi fornitura di aiuti letali da parte della Cina alla Russia sarebbe un errore storico, con profonde implicazioni».

Né davanti alle preghiere, né alle velate minacce, Xi Jinping sembra però disponibile a muoversi di un centimetro dalla sua linea: quella vaga e all’apparenza «equidistante» dai due Paesi in conflitto delineata nella «Posizione cinese sulla crisi ucraina», che il governo di Pechino nemmeno definisce «guerra».

Xi continua a dire che entrambe le parti in causa hanno le loro «ragionevoli preoccupazioni» di sicurezza e non concede nessuno spiraglio sulla condanna dell’azione russa. Ci sono piuttosto i generici appelli ai «negoziati di pace da riprendere al più presto» e l’altrettanto imprecisata «costruzione di un contesto bilanciato di sicurezza in Europa»: parole dell’altra conferenza stampa di giornata (senza domande), che il presidente ha tenuto insieme al suo omologo francese.

Secondo i giornalisti presenti, anzi, Xi si sarebbe lasciato sfuggire un paio di sospiri e sguardi annoiati mentre parlava Macron, e sembrava a disagio quando il presidente francese lo invitava direttamente a condannare l’aggressione russa.

(Foto Dati Bendo/Commissione europea)

Nulla di nuovo: piuttosto una conferma dell’attitudine «pro-russa» del governo cinese nel conflitto, secondo Alicja Bachulska, esperta di politica cinese dell’European Council on Foreign Relations. «Xi al momento non ha ancora parlato con Zelensky: la telefonata fra i due è stata più volte posticipata e non ci sono stati grandi contatti bilaterali nell’ultimo anno, nonostante fra i due Paesi resti teoricamente in vigore un accordo di cooperazione», dice a Linkiesta.

Anche su questo punto, la pressione europea è stata vana. La chiamata avverrà quando «i tempi e le condizioni saranno adeguati» ha risposto il presidente cinese a Ursula von der Leyen: un modo elegante per respingere al mittente la richiesta.

Pechino privilegia il dialogo con Mosca e la sua narrazione, sostiene Alicja Bachulska, anche a livello di retorica diplomatica.

Una relazione complicata
Il confronto sulla guerra si lega indissolubilmente a quello sulle relazioni commerciali, in un incontro a tre che secondo molti analisti vedeva Emmanuel Macron nella parte del «poliziotto buono», più incline a instaurare un asse con Pechino, e Ursula von der Leyen come la «poliziotta cattiva», per via della sua spiccata intesa con il presidente statunitense Joe Biden e per un discorso recente molto critico nei confronti della Cina.

«Questa dinamica è particolarmente sintomatica delle natura delle relazioni fra Cina ed Europa al momento», afferma Bachulska, spiegando la strategia ondivaga dell’Unione. «Vari Paesi o anche élite politiche ed economiche vogliono proseguire la cooperazione a spese magari di altri Paesi o governi più scettici verso Pechino e le sue scelte geopolitiche».

Non è un segreto che alcune capitali dell’Unione guardino con sospetto a ogni tentativo di avvicinamento con la Cina: il capofila della fazione più «rigida» è sicuramente il governo lituano, con il ministro degli Esteri Gabrielius Landsbergis che già mette in conto la possibilità che l’economia cinese e quella europea prendano strade diverse.

Il cosiddetto decoupling, comunque, non è un’opzione al momento percorribile, come ha ribadito von der Leyen durante la visita a Pechino. Perché la Cina rappresenta il primo partner commerciale dell’Ue, perché la rifornisce di materie prime molto difficilmente reperibili altrove (terre rare, litio, magnesio), oltre che di un quinto di tutte le merci importate.

Piuttosto, è importante assicurare una «parità di condizioni», hanno detto sia Macron che von der Leyen, e ridurre gli squilibri commerciali. La presidente della commissione ha anche chiesto di ridiscutere il Comprehensive Agreement on Investment (Cai), l’accordo commerciale fra l’Unione europea e la Cina, firmato a fine 2020, mai ratificato da Parlamento comunitario e Paesi membri, e sostanzialmente in stallo a causa delle crescenti tensioni tra Pechino e Bruxelles.

Se Macron e von der Leyen tornano in Europa senza grandi proclami, il padrone di casa può ritenersi soddisfatto, secondo l’analisi dell’esperta. «Questo incontro prevedeva due livelli di comunicazione. Quello interno evidenziava la riapertura della Cina al mondo dopo la pandemia, il ritorno alla normalità del commercio».

Poi c’è il messaggio diplomatico, affidato soprattutto all’ambasciatore di Pechino presso l’Unione europea, Fu Cong, che in un’intervista ha fortemente criticato un recente discorso di Ursula von der Leyen, accusandola di «distorsione della posizione cinese», oltre a ridimensionare la famosa dichiarazione di «amicizia senza limiti tra Cina e Russia».

Il problema, per Fu Cong, è che «molti politici europei vedono la relazione con la Cina attraverso la lente della crisi ucraina». E al momento, quindi, non vedono nulla di buono.

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Fonte:https://www.linkiesta.it/, Pubblicato il:

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