L’economia della Russia di Putin sta andando in rovina molto velocemente

«La Russia di Putin sta andando in rovina velocemente», perché «l’Europa ha smesso di comprare petrolio e gas russi». Su The Soapbox – spazio di dibattiti su The New Republic, dal nome metaforicamente ispirato alla «cassa dei saponi» vuota in cui nella tradizione anglosassone gli oratori si issavano per fare comizi in strada – è l’analisi portata avanti da David Cay Johnston: Premio Pulitzer specialista in temi economici e insegnante alla Syracuse University College of Law. «E ciò solo per iniziare. Senza sparare un colpo, la squadra del presidente Joe Biden e gli alleati degli Stati Uniti stanno conducendo con successo una guerra economica contro la Russia. Il muscolo economico di Vladimir Putin si sta rapidamente esaurendo anche per il fatto che i suoi generali inetti, i coscritti demoralizzati e i mercenari reclutati dal Gulag non riescono a guadagnare molto terreno contro gli irriducibili ucraini con le loro tattiche flessibili sul campo, la raccolta di informazioni superiore e l’espansione dell’arsenale di sofisticate armi americane ed europee».
L’economia russa, mai vivace, è ora a brandelli, osserva David Cay Johnston. «Le esportazioni di combustibili fossili pagano le bollette. Oltre il settantacinque per cento delle esportazioni russe sono combustibili fossili, prodotti chimici e altri prodotti realizzati con combustibili fossili». È questa mancanza di diversificazione che rende la Russia vulnerabile alle sanzioni economiche occidentali, «se progettate in modo intelligente e rigorosamente applicate. Le sofisticate sanzioni elaborate dall’amministrazione Biden si stanno dimostrando molto più efficaci delle sanzioni imposte dalle precedenti amministrazioni contro vari Paesi che si comportano male, sanzioni che erano per lo più di facciata e facilmente aggirabili».
Così il petrolio russo ora si vende a ben al di sotto del prezzo mondiale. L’Opec+ si agita, ma più che altro il su obiettivo è che la depressione del prezzi del petrolio non colpisca anche altri produttori. L’Unione europea ha tagliato le importazioni di petrolio russo da circa settecentocinquantamila barili al giorno a quasi zero. Il petrolio sostitutivo dell’Europa proviene in gran parte dal Medio Oriente: «Un vantaggio per i dittatori locali, ma un problema pressante il portafoglio del Cremlino. L’Europa si è anche svezzata dal gas naturale russo a buon mercato, che Putin pensava erroneamente gli desse un randello con cui costringere gli europei a chiudere gli occhi politici o almeno a guardare dall’altra parte la sua invasione dell’Ucraina. Alcuni esperti più cinici hanno affermato quando è iniziata la guerra che l’Europa non avrebbe mai fatto queste mosse, ma l’Europa ha dimostrato che si sbagliavano».
Per illustrare il problema delle entrate di Putin, l’analisi confrontava l’andamento del mercato del greggio. Il West Texas Intermediate, un petrolio americano utilizzato per fissare i prezzi di riferimento, è crollato di oltre il quarantaquattro per cento, da un massimo di 123,68 dollari dello scorso anno a 69,20 dollari del 24 marzo. Il greggio Brent, petrolio proveniente da sotto l’Atlantico tra Scozia e Norvegia, viene venduto a settantatré dollari, in calo rispetto ai centoquattordici dollari dello scorso giugno. Il prezzo del petrolio russo è sceso da 92,20 dollari al barile di un anno fa a 49,50 dollari di marzo: un calo del quarantasei per cento, ammesso dalle cifre del ministero delle Finanze del Cremlino.
Vero, osserva David Cay Johnston, che tali cifre sono confuse. «Dall’inizio della guerra, il ministero ha drasticamente ridotto il rilascio di informazioni. Tuttavia, i suoi rapporti statistici affermano che l’economia russa è in crescita». Ma «è difficile da credere, a causa di un calo del trenta per cento delle esportazioni nette russe, principalmente combustibili fossili, rispetto a un anno fa». Sua conclusione: «È molto più facile falsificare o addirittura mentire apertamente sui numeri economici interni rispetto a quelli per le importazioni e le esportazioni perché i dati di altri Paesi possono essere confrontati con i rapporti del ministero delle Finanze russo».
A causa delle sanzioni, il petrolio russo trasportato via nave è limitato a sessanta dollari al barile, ben al di sotto dei due benchmark per il greggio. E il prezzo russo effettivo è inferiore di oltre dieci dollari al barile, in base al conto del Cremlino. L’Occidente può limitare il prezzo a sessanta dollari perché le petroliere marittime si affidano a compagnie di assicurazione marittima cui i governi occidentali possono imporre di far rispettare le loro sanzioni alla Russia.
Vero che la Russia per aggirare il problema ha fatto incetta di petroliere obsolete, come hanno attestato ad esempio Bloomberg, Cnn e The Washington Post. Non a buon prezzo, peraltro. Alcuni clienti ancora interessati al petrolio russo sono soggetti generalmente squattrinati tipo Cuba, Egitto, Corea del Nord e Sri Lanka. È aumentato pure l’export verso Cina e India, a prezzi di liquidazione. La prospettiva è un aumento dell’export via terra verso l’Asia, ampliando gasdotti e oleodotti esistenti o realizzandone di nuovi. Presumibilmente, è un tema di cui Vladimir Putin ha parlato durante la visita di Xi Jinping a Mosca.
Putin ha inoltre anche provocato una costosa fuga di cervelli che indebolirà ulteriormente le entrate del governo, forse ridurrà le entrate derivanti dai crimini informatici e danneggerà la crescita economica a lungo termine. Ma se ne sono andate anche le compagnie petrolifere occidentali con lcapacità tecnologica di estrarre petrolio dal rigido clima russo, tra cui BP, ExxonMobil e Shell. «Probabilmente significherà danni ai giacimenti petroliferi, agli oleodotti e alle raffinerie russi a causa della mancanza di competenza tecnica. La cattiva gestione dei giacimenti e delle attrezzature petrolifere è una vecchia storia in Russia, che in epoca sovietica faceva affidamento sulle spie aziendali in America per migliorare le proprie tecnologie petrolifere».
Poiché poi le imprese occidentali non vendono pezzi più pezzi di ricambio alla Russia, «la sua rete di viaggi aerei interni si sta restringendo. Molti aerei di linea russi sono stati sequestrati all’estero. I jet Airbus e Boeing vengono cannibalizzati per le parti, il che rischia di compromettere la sicurezza del volo».
Ma Putin è anche vulnerabile perché, nonostante la superficie terrestre quasi pari a quella di Stati Uniti e Cina messe insieme, l’economia russa è piccola. Nel 2021 il Pil della Russia era inferiore a milleottocento miliardi di dollari, rispetto ai 23,3 degli Stati Uniti. La sola California ha un’economia da tremilaquattrocento miliardi, quasi il doppio di quella russa, ma con solo circa un quarto delle persone. La capacità di importazione della Russia è anche indebolita dalla caduta del rublo: un calo del trenta per cento rispetto al dollaro dall’inizio della guerra contro l’Ucraina alla fine di febbraio 2022. Computer, macchinari e veicoli rappresentano oltre il quaranta per cento delle importazioni russe, e sono tutti elementi necessari per perseguire una guerra che ora costa molto di più.
«La mia analisi dell’ultimo bilancio della Federazione Russa», conclude David Cay Johnston, «mostra che la spesa nei primi due mesi di quest’anno è stata superiore del cinquantanove rispetto allo stesso periodo nel 2022 e del novanta per cento in più rispetto al 2021. Ciò suggerisce quanto l’attività economica russa si sia spostata verso la guerra. Allo stesso tempo, le entrate del governo sono diminuite del ventotto per cento e le entrate petrolifere sono diminuite del quarantasei per cento. L’aumento della spesa e il calo delle entrate non sono sostenibili, soprattutto per un paese che a volte deve indebitarsi in valute estere, a differenza degli Stati Uniti, che non hanno problemi a rinnovare i propri debiti e assumerne altri. Ad un certo punto, la discrepanza fiscale della Federazione Russa, la caduta del rublo e le deboli entrate delle esportazioni, insieme alla repulsione per la guerra, hanno portato a manifestazioni sparse nonostante la cultura russa di far fronte a privazioni, code e oppressione del governo».
Per finanziare la sua guerra, Putin ha rotto il salvadanaio nazionale. In un anno ha prelevato più di un quinto del fondo sovrano russo, che nel settembre 2021 era di quattordici miliardi di rubli, ma a marzo è sceso a undici miliardi di rubli, ovvero meno di centocinquanta miliardi di dollari. Per un paese delle dimensioni e della popolazione della Russia non è molto, anche senza una guerra. «Col tempo, Putin esaurirà i proiettili economici per acquistare materiale bellico: droni, missili e mercenari del gruppo Wagner. Ogni politica che costringe Putin a spendere il fondo sovrano della Russia, limita le sue entrate dalle esportazioni e rende difficile ottenere tecnologia e pezzi di ricambio è un modo intelligente per fermare le sue atrocità».
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