
Gabriele Gorelli è il primo Master of wine italiano. Come fanno i broker con le azioni, segnala le bottiglie da comprare e poi rivendere. Bevendoci su non poco
Ogni appassionato di vino sogna di diventare sommelier, e su trenta milioni di bevitori italiani poco più di uno su mille ce la fa. Ogni sommelier sogna poi di diventare degustatore ufficiale: “Non è semplice, perché all’esame finale con degustazione bendata bisogna descrivere e valutare con precisione due vini in meno di 90 secondi ciascuno”. Chi parla è uno degli happy few (non si arriva al migliaio) che hanno coronato il sogno, ma invece di godersi l’alloro lui ne ha fatto il trampolino di lancio per un traguardo ulteriore, probabilmente il più esclusivo del mondo del vino: Gabriele Gorelli, trentottenne toscano di Montalcino, in provincia di Siena, è il primo italiano a fregiarsi dell’ambitissimo titolo di Master of Wine, la porpora cardinalizia del culto di Bacco.

Vino: il primo bicchiere
Gorelli nasce in famiglia di Brunello, e un filo tenace unisce il mezzo ettaro di vigna coltivato dal nonno alle segrete stanze dell’Institute of Masters of Wine di Londra: “Il mio primo bicchiere è stato a quattordici anni, ma da noi non si è mai bevuto semplicemente per accompagnare i pasti: al centro c’è stato da subito il racconto, l’esperienza, il valore culturale della coltivazione, della produzione e della degustazione del vino”. A Montalcino si vola alto, ma quando si tratta di buone bottiglie i valori culturali fanno presto a tradursi in valuta corrente: dall’inizio di quest’anno Gorelli è ambassador per l’Italia di Oeno Group, una boutique enologico-finanziaria che promuove il vino come bene d’investimento, e nei suoi caveau londinesi ha in custodia 70 milioni di euro in bottiglie quotate come titoli azionari. Il maestro di Montalcino è l’ennesima smentita al triste detto tremontiano per cui con la cultura non si mangia: “Ho scelto da subito di non dedicarmi alla produzione ma di virare sulla comunicazione del vino, e il diploma di Master of Wine si può dire che abbia quadruplicato il valore delle mie consulenze”.
Non è un titolo ad honorem: da quando fu istituito nel 1953, solamente in 498 sono riusciti a superare il draconiano processo di selezione, e ad accumulare le competenze necessarie a passare l’esame finale: “Guidavo già un’azienda del ramo, ero già degustatore dell’Associazione italiana sommelier, ma quando nel gennaio 2015 a Rust, in Austria, partecipai al primo seminario del corso per Master of Wine, mi sentii improvvisamente come un bimbetto dell’asilo capitato in un’aula universitaria”. Difficile capire di cosa si tratti: “Con il Master of Wine ogni tua conoscenza prende forma a un livello superiore, che prevede poche letture consigliate e una serie pressoché infinita di esperienze di prima mano filtrate con occhio critico e consapevolezza culturale”. Siamo alla mistica del mosto e del gusto. Ci vogliono sei anni per fare un medico, ma possono non bastare per fare un maestro del vino: “Effettivamente un collega che ha iniziato nel mio stesso anno non si sente ancora pronto, e pensa di sostenere l’esame finale entro il 2024”. Per capirci: nel 2016, anno di suo massimo impegno seminariale, Gorelli ha speso 38 mila euro e preso 40 voli per mettere a fuoco ogni dettaglio di vigne e cantine dall’Europa all’America all’Australia. E per capirci ancora meglio: tra le prove finali che gli sono valse la vetta del vino, c’è la degustazione bendata di dodici bottiglie alla volta per tre mattine di seguito, da descrivere, valutare e riconoscere tra tutta la produzione vinicola dell’orbe terracqueo.
Bollicine doc
Ci sono Master of Wine coltivatori, produttori, enologi, giornalisti, importatori. Gabriele Gorelli offre la propria consulenza alle migliori cantine europee, e prova a convincere i morigerati risparmiatori italiani a puntare su un bene fragile e deperibile come una bottiglia di vino: “Da noi nessuno investe nel vino anche perché nessuno propone di investire nel vino” è il suo lapalissiano punto di partenza. A detta dell’unico Master of Wine italiano ci sono bottiglie per investitori di lungo termine, come i Bordeaux Primeurs, e vini che, come i grandi marchi dello Champagne, sono ideali per investimenti “liquidi”, ovvero sempre pronti al riscatto monetario.
Certo, come per i portfolio azionari, anche per quelli enologici vale il principio per cui chi più ha, più avrà, ovvero chi ha un patrimonio extralarge avrà rendimenti stellari, chi ha disponibilità ad altezza d’uomo dovrà accontentarsi di ritorni più contenuti: “Non sono rari rendimenti del 10 per cento annuo, che possono toccare anche il 15 o 20 per dei Dom Pérignon che si acquistano già a partire dai 200 euro. Ma se si sale di prezzo, i numeri cambiano ancora: un Domaine de La Romanée Conti del 2018 acquistato nel 2021 a 20 mila euro, è stato appena rivenduto con un ricarico del 35 per cento”. Buon per loro.
Per vincere ogni remora materiale, il gruppo per cui lavora Gorelli tiene in custodia le bottiglie della clientela in ambienti oscurati, senza vibrazioni, a temperatura e umidità costanti: “Anche questo conta se vuoi che il tempo passi senza togliere valore alle tue bottiglie”. Gabriele Gorelli spera di convincere i grandi investitori istituzionali a puntare sul vino come puntano su azioni, obbligazioni e valute. Più realisticamente, il prestigio del suo titolo dovrebbe spingere i collezionisti più danarosi ad aggiungere una tacca di investimento al già ricco carnet di auto d’epoca, quadri d’autore e orologi di pregio. Ci sta riuscendo. Ma la sensazione è che aspetti ancora l’occasione giusta per mettere a frutto le mostruose competenze certificate dalla porpora londinese.
di Raffaele Oriani dal Venerdì di Repubblica del 25 novembre 2022