ConsigliatiSi dice che...

Quanta riservatezza, Consigliere Mancini

I membri del Consiglio Grande e Generale sono tenuti a dichiarare i propri redditi, le partecipazioni societarie e le posizioni debitorie. Tutti i Consiglieri hanno presentato la dichiarazione e ne hanno autorizzato la pubblicazione. Tutti tranne uno, il Consigliere Alessandro Mancini. A quanto si sa Mancini si è limitato a dichiarare i propri redditi, ma non ha consentito che fossero pubblicate le esposizioni debitorie diverse da quelle strettamente personali. In sostanza non sono conoscibili né le sofferenze di società di cui Mancini è socio, né i debiti dallo stesso contratti in “comunione” con altri, né tantomeno quelle dei familiari (moglie, figli ecc.).
Se la politica deve essere una casa di vetro nella quale il cittadino ha il diritto-dovere di guardare per assicurarsi della trasparenza dei suoi rappresentanti, è evidente che il riserbo e la parzialità dei dati offerti da Mancini rispondono ad una logica contraria: non trasparenza, ma opacità. E questa opacità risulta tanto più grave se si pensa che il Consigliere Mancini è presidente della Commissione Finanze e, nel 2020, è stato Capitano Reggente.
Non si tratta di dare la caccia alle streghe, ma in un Paese normale e democratico il cittadino elettore deve poter esprimere con coscienza e responsabilità il proprio voto. Perciò dovrebbe essere in grado di conoscere l’effettiva condizione economica e patrimoniale di coloro che sono chiamati a svolgere funzioni pubbliche. In un Paese normale ‒ dicevamo ‒ il cittadino si porrebbe certe domande. Anzitutto vorrebbe sapere il perché di tanto riserbo. In secondo luogo si chiederebbe se, per caso, al politico in questione siano state conferite importanti cariche politico-istituzionali perché la sua debolezza patrimoniale lo rendevano facilmente condizionabile. Domande e dubbi che una piena trasparenza avrebbe sicuramente potuto evitare.
Inoltre, come scrive oggi L’Informazione, Mancini è uomo molto chiacchierato che, non ha esitato a denunciare avversari politici per timore che potessero usare contro di lui informazioni sulla sua situazione patrimoniale. Insomma a Mancini è più congeniale la segretezza che la trasparenza, proprio come ai tempi in cui “stavamo bene!”.
Ma il Consigliere Mancini può stare tranquillo. La mancanza di obblighi di veridicità e completezza, l’assenza di sanzioni in caso di inosservanza e l’inesistenza di sistemi di controlli rendono pressochè irrilevante ogni violazione o elusione della trasparenza patrimoniale. Insomma siamo ben lontani dall’aver un sistema che funga da remora al compimento di attività o operazioni economiche disinvolte e poco attente all’interesse della collettività. L’autodichiarazione dovrebbe servire a prevenire forme di malcostume politico-finanziario, ma la disciplina delineata dal codice etico (varato dal Consiglio Grande e Generale) non ha alcuna funzione dissuasiva e non consente di delineare i contorni della cattiva politica nè, al contrario, consente di salvaguardare la dignità e la credibilità dei politici onesti.
Le molte riserve opposte da Mancini dimostrano che l’autodichiarazione della situazione patrimoniale del politico è un’ipocrita foglia di fico.
TE

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