La minuscola differenza tra l’inciviltà giuridica di sinistra e quella di destra

C’è una differenza fondamentale nell’inciviltà giuridica di cui rispettivamente fanno mostra la destra e la sinistra. Spesso quelle due diverse impostazioni tollerano identici sacrifici dei diritti individuali, e persino li reclamano in nome del valore di turno, la sicurezza, la giustizia sociale, la tutela delle vittime, insomma una o l’altra delle fungibili esigenze prioritarie puntualmente poste a giustificare il ripiegamento autoritario del potere pubblico. Ma quella predisposizione, mentre a sinistra si realizza per via arbitraria, appaltando al tribunale di rimettere in sesto la società pervertita rispetto al canone democratico, a destra si attua mediante una disciplina specifica, che regolamenta e rende esplicite, tipiche le compressioni dei diritti individuali.
Una, quella di sinistra, è una specie di common law dell’ingiustizia; l’altra, quella di destra, non se ne accontenta e si rassicura nel codificarla. Micidiali entrambe, una – quella di sinistra – è temibile perché produce un’ingiustizia meno suscettibile di rimedio, perché determina una temperie che tira all’irreversibilità siccome è affidata appunto all’arbitrio, al trionfo del potere giudiziario lasciato libero di orientare il proprio lavoro in modo finalistico (le sentenze democratiche, piuttosto che legittime), laddove l’altra – quella di destra – è pericolosa invece nella misura in cui può mettere in legge l’ingiustizia che la sinistra può lasciar correre ma non stabilire formalmente. Una può lasciare che si mettano in catene i condannati, l’altra può scrivere che è giusto farlo.
Che agli effetti pratici non ci siano differenze non vuol dire che l’una valga l’altra, per il motivo dianzi accennato: in un caso, è ingiustizia sfrenata perché non prevede limiti entro i quali può essere esercitata; nell’altro è sfrenata perché ha limiti amplissimi di esercizio. Il giudice, per una è un ausiliario più o meno fantasioso del partito, officiato a rimettere a posto le leggi non funzionali alla verità democratica; per l’altra è l’esecutore che provvede sulla linea di un protocollo il quale, essendo intrinsecamente ingiusto, per attuarsi non ha neppure bisogno del ricorso all’arbitrio.
Nei due casi buttano le chiavi, ma in un caso perché il giudice ha il potere di decidere in quel modo, nell’altro perché ha il dovere di farlo. In un caso è la forca a capriccio; nell’altro è la forca per legge. In un caso è ingiustizia senza bisogno di legge; nell’altro è l’ingiustizia che si fa legge.
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