Attualità

Il mercato del lavoro cambia, e anche la formazione

Non più solo un benefit, ma un asset strategico per rendere le imprese sempre più competitive e attrattive, soprattutto per le nuove generazioni. Negli anni, mentre cambiavano il mondo del lavoro e le priorità di lavoratori e lavoratrici, anche la formazione aziendale ha subito profonde e rapide trasformazioni. Le competenze, e il loro aggiornamento costante, sono diventate il sale del business per le imprese. E con la pandemia, che ha portato le organizzazioni a diventare ibride, all’approccio formativo tradizionale se ne è affiancato uno più innovativo, con la diffusione dell’elearning e della gamification.

Sono questi i temi contenuti nel white paper di Mylia (società del Gruppo Adecco specializzata nella formazione) dal titolo “Formare per crescere – Gli scenari del training tra benessere delle persone e sviluppo delle risorse”. Un documento che non solo racchiude molti dati numerici sulla formazione nel nostro Paese, ma che mette in luce anche i principali trend e l’impegno delle aziende nel tracciare nuovi percorsi che pongano la persona al centro.

I numeri
In Italia sono il 38,3% le aziende che realizzano attività formative, escludendo i corsi sulla sicurezza. I numeri, però, variano molto in base al settore e alla dimensione aziendale. Il settore della finanza è quello in cui questa percentuale raggiunge il livello massimo: il 64,6%. Ma se le grandi imprese sono più avanti, le piccole imprese – che costituiscono l’ossatura del tessuto produttivo del nostro Paese – sono molto meno propense a svolgere formazione: lo fa solo il 18,4%.

Nel 33,2% delle aziende si tratta di una formazione continua, che punta all’apprendimento di competenze a ogni stadio della carriera, mentre nel 28,8% viene svolta quella per i neoassunti. Vi è anche un 15,6% di imprese in cui è offerta una formazione riqualificante, per i lavoratori che cambiano area produttiva.

L’Italia negli ultimi anni ha aumentato il ricorso alla formazione aziendale, anche se nel confronto con l’estero resta ancora al di sotto della media europea per percentuale di lavoratori coinvolti in progetti di formazione (l’11,7%, contro il 14,3% in Europa).

Dunque, un trend in crescita, seppur lenta, anche per il nostro Paese, alle prese con i forti cambiamenti del mercato del lavoro che pongono nuove urgenze. Perché il passaggio dalla società del “posto fisso”, in cui si imparava un mestiere per la vita, a quella del lavoro flessibile, comporta anche un frequente cambio di mansioni e necessità di adeguamento delle competenze. In più, l’accelerazione del progresso tecnologico fa sì che le competenze abbiano un alto livello di obsolescenza, rendendo necessaria la formazione continua. E in un mondo sempre più complesso e incerto, alle competenze tecnico-scientifiche vanno affiancate anche le cosiddette soft skill.

Serviranno dunque azioni di upskilling dei lavoratori, cioè di miglioramento delle competenze. Ma anche attività di reskilling, ovvero la capacità di conseguire conoscenze che consentano al lavoratore transizioni occupazionali, anche radicali.

Dove va la formazione
Per discutere le rapide e profonde trasformazioni della formazione aziendale, Mylia ha organizzato anche un webinar dal titolo “Cambia il mondo del lavoro, cambia la formazione: quali sfide attendono le aziende”, con la partecipazione di diversi rappresentanti del tessuto aziendale italiano che si sono confrontati sulle esperienze messe in campo.

All’evento, moderato dal giornalista della Stampa Giuliano Balestrieri, hanno partecipato Andrea Malacrida, Country Manager di The Adecco Group, Roberto Pancaldi, Managing Director di Mylia, Clemente Perrone, VP Chief HR, Organization & Communication Officer di Sirti, Sergio Gonella, Culture, Development, Inclusion & Talent Acquisition Director di Wind Tre, Francesca Micheli, Head of Learning & Skill di NTT Data, Matilde Di Mario, Responsabile Recruiting & Learning di Rai Way, Federica Madonna, Learning & Development Senior Manager di Prada e Laura Sfriso, Global Learning Manager di Chiesi Farmaceutici.

«L’obsolescenza delle competenze e i cambiamenti del mercato del lavoro sono temi cruciali. Per cui il salto che si deve fare è guardare non più solo all’occupazione, ma all’occupabilità del lavoratore», ha spiegato Andrea Malacrida. «Occupabilità intesa come spendibilità sul mercato e capacità di adattare le proprie competenze a quello che il mercato richiede, aggiornandosi di continuo».

L’evoluzione della formazione è quindi connessa all’evoluzione del mercato del lavoro. Ed è diventata ormai «parte integrante per acquisire e trattenere talenti», ha spiegato Roberto Pancaldi. In un processo continuo, in cui le imprese guardano dentro e fuori. «L’azienda deve individuare le competenze di cui ha bisogno, ben sapendo che queste necessitano di un aggiornamento continuo». E il segreto per il lavoratore è quindi quello di «imparare e disimparare di continuo».

Aggiornamento costante che, ad esempio, in un’azienda tecnologica come Sirti è vitale, come ha raccontato Clemente Perrone. «La formazione è sempre stato un elemento identitario nel nostro gruppo. Il nostro asset deve essere continuamente aggiornato. L’anno scorso abbiamo svolto quasi 600mila ore di formazione», dando la possibilità di costruire percorsi di carriera anche per chi lavora a distanza con iniziative di coaching di gruppo.

Anche in Wind Tre, ha spiegato Sergio Gonella, si è investito sia su competenze trasversali sia su programmi di aggiornamento verticali. Un «accompagnamento nella trasformazione», ha raccontato, che ha riguardato «anche i temi della cittadinanza, con attenzione alla sostenibilità e alla diversity e inclusion». 

Ma la formazione non può essere uguale per tutti i dipendenti. Mettere le persone al centro delle organizzazioni implica la necessità di sviluppare progetti formativi personalizzati. «Oggi la formazione è un po’ come una stazione in cui ognuno può prendere tutti i treni che desidera», ha spiegato Francesca Micheli. «L’azienda non è più davanti, a trainare, ma spinge le persone a formarsi. L’offerta è ampia e si evolve velocemente. L’aspetto più importante è far capire alle persone il senso del viaggio, che non è uguale per tutti. Ciascuno deve decidere quali treni prendere e che percorso fare».

Senza dimenticare che sono centrali anche i contatti con i colleghi e le esperienze di formazione informale in azienda, anche tramite lo scambio e il confronto tra le diverse generazioni presenti.

Ma la priorità, ora che le opportunità di formazione sono aumentate, «è passare dalla quantità alla formazione giusta, di qualità», ha raccomandato Matilde Di Mario. E in questo percorso l’aspetto vincente è mettersi in «ascolto delle persone e dei bisogni strategici dell’azienda», ha spiegato Federica Madonna. «La formazione deve essere adeguata alla cultura aziendale, ma nello stesso tempo bisogna lavorare sull’accompagnamento delle persone». Perché il rischio, ha detto Laura Sfriso, «è che ci percepiamo ancora come distributori di risposte, invece dovremmo essere coloro che sono in grado di porre le domande rispetto al futuro. Le persone non sono contenitori da riempire, bisogna costruire il senso attorno a quello che avviene in azienda».

La costruzione di senso nelle organizzazioni è quindi strettamente connessa alla formazione. Ma serve un disegno complessivo, per capire cosa si vuole e dove si sta andando. «La formazione è sostenibile se lo è all’interno della cultura organizzativa», ha precisato Madonna.

E in questa evoluzione della formazione, la digitalizzazione si rivela uno strumento abilitante, utile a creare percorsi ad hoc, anche attraverso i dati che le aziende hanno a disposizione. «Il nodo è trovare l’esatta connessione tra persona, fabbisogno delle aziende e necessità del mercato», ha spiegato Pancaldi. «La formazione deve centrare il bisogno e la tecnologia può aiutare a individuarlo».

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Fonte:https://www.linkiesta.it/, Pubblicato il:

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