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Processo Mazzini. Inammissibili tutti i ricorsi. Sfumano le speranze dei Mazziniani di riavere i soldi confiscati

Tratto da Informazione del 10 novembre 2022

È stata depositata ieri la sentenza del giudice di Terza Istanza Oliviero Mazza relativa al terzo grado del conto Mazzini. Il giudice, diversamente dalle aspettative delle difese, ha dichiarato inammissibili i ricorsi in quanto proposti avverso una sentenza già passata in giudicato e, quindi, definitiva. Questo in estrema sintesi il motivo che ha portato il Giudice a dichiarare l’inammissibilità di tutti i ricorsi del Mazzini. Dall’altro lato, tuttavia, nei ricorsi presentati da chi ha subito le confische in assenza di condanna – in seguito a proscioglimento per prescrizione o, in funzione della sentenza dei Garanti, perché all’epoca dei fatti le condotte non costituivano reato – il Giudice Mazza non ha escluso che la questione, sulla quale non gli è consentito entrare nel merito, possa essere sollevata nuovamente in sede di esecuzione della pena. L’inammissibilità dei ricorsi. Le sentenze sono analoghe per tutti i ricorrenti. Il Giudice di terza istanza prende in esame in primo luogo, appunto, l’ammissibilità dei ricorsi. Da un lato le difese che hanno sostenuto come, essendo il nuovo articolo 199bis del codice di procedura penale entrato in vigore quando ancora vi erano i termini per proporre ricorso, questi si sarebbero dovuti ritenere ammissibili. Dall’altro lato la parte civile e la Procura fiscale hanno per contro sostenuto che, quando la nuova legge è entrata in vigore, per le norme vigenti quando la sentenza di appello è stata letta, questa era senza dubbio già definitiva e, quindi, non più impugnabile. Il giudice di terza istanza ha evidenziato che entrambe le posizioni rispondono all’invocato criterio del “tempus regit actum”, ovvero il principio della applicazione della legge vigente nel momento in cui l’atto esplica i suoi effetti. “In presenza di due proposizioni fra loro inconciliabili ed entrambe formalmente rispettose del criterio del tempus regit actum – scrive il Giudice in sentenza – appare evidente come la soluzione interpretativa non possa essere puramente di diritto intertemporale, ma vada ricercata sul diverso piano dei rapporti cronologici fra giudicato e impugnazione, da cui discende la formazione del giudicato si oppone, logicamente, giuridicamente e cronologicamente, all’ammissibilità dell’impugnazione presentata successivamente a tale evenienza ”. In sostanza, cioè, il ricorso “è, dunque, inammissibile, essendo stato proposto avverso una sentenza già divenuta irrevocabile”. Inammissibilità che quindi impedisce al Giudice di terza istanza di entrare nel merito dei ricorsi sollevati. La palla passa al giudice delle esecuzioni La questione non è però chiusa del tutto. Se per ora resta confermata la sentenza di appello e la pena in essa stabilita, confische comprese, in sede di esecuzione della pena le difese avrebbero la possibilità – che con tutta probabilità coglieranno – di sollevare questioni sulla possibile illegalità, e quindi non applicabilità, della pena. Potrebbero quindi chiedere nuovamente che la pena stabilita con sentenza definitiva non venga eseguita, e domandare la restituzione delle somme confiscate. Il giudice di Terza istanza, citando i più recenti orientamenti della dottrina e della giurisprudenza, afferma infatti che la doglianza sulla eventuale illegalità della pena potrebbe essere sollevata in sede di esecuzione . Quindi il giudice, nel circoscrivere il concetto di “illegalità della pena”, afferma che queste possono essere fatte valere davanti al giudice dell’esecuzione che, secondo la distribuzione dei carichi di lavoro, dovrebbe essere il Commissario della Legge Antonella Volpinari. La doglianza che era cioè oggetto del ricorso in terza istanza sulla asserita inapplicabilità della confisca in assenza di condanna, “sarebbe comunque una questione deducibile davanti al Giudice dell’esecuzione”, ancorché il ricorso sia stato dichiarato inammissibile in Terza istanza, perché avverso una sentenza già divenuta irrevocabile. Sentenza in funzione della quale, a parte le condanne confermate, seppure ridotte rispetto al primo grado, nei confronti di Bruscoli e Tortorella, era rimasta una confisca complessiva di oltre 8,6 milioni che dovrebbero andare allo Stato. a.f.

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