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Gabriele Gatti vittima delle sue teorie complottistiche e dell’incapacità di analizzare i fatti

Gabriele Gatti fin dall’inizio delle sue disavventure giudiziarie si è scatenato contro il Giudice Buriani, colpevole di averlo indagato, arrestato e rinviato a giudizio. Gatti ha perfino denunciato Buriani e, nonostante le sue accuse siano state tutte archiviate, è rimasto imprigionato nel suo teorema. Gatti sembra incapace di elaborare un pensiero autocritico, di capire che quello che ha fatto era un reato, anche grave. La sua strategia è sempre stata la stessa: negare tutto, anche l’evidenza; gridare, anziché convincere, accusare, anziché difendersi. Si è sempre dichiarato vittima di un complotto, senza riuscire a giustificare come mai nelle sue tasche e neai suoi conti sono passati miliardi di lire e milioni di euro. Fosse stato un complotto, Gatti sarebbe uscito indenne dal processo, anzi, come lui sperava, avrebbe ottenuto una sorta di riabilitazione. Ma così non è stato e Gatti è stato condannato anche nel primo grado di giudizio. Questa volta a decidere non è stato Buriani, ma il Commissario Morsiani. Ieri mattina, appena letto il dispositivo di condanna, si è dissolto il teorema persecutorio elaborato da Gatti e dai suoi difensori. Nonostante questo, Gatti, nella giornata di oggi, all’indomani della condanna, ha ripreso il suo vecchio armamentario complottista e ha ribadito di essere vittima di un processo politico: “a caldo avevo dichiarato che il mio è un processo politico, ora a mente fredda sono certo che l’intento è quello di impedirmi di fare politica. Oggi da cittadino libero ed innocente mi sento impegnato affinché altri cittadini non debbano subire ingiustizie così gravi e palesi. Nessuno potrà intimorirmi o mettermi a tacere, se fare politica lo decido io e non un giudice. Pretendo motivazioni rapide per fare appello e vedere finalmente affermata la mia innocenza e potermi battere per un vero stato di diritto. In passato ho fatto un passo indietro in politica, oggi anche alla luce di quanto è successo sento di poter fare un passo in avanti”.
Può sembrare una dichiarazione sopra le righe, e potremmo ritenere che quelle di Gatti siano le parole di rabbia pronunciate da chi è stato appena condannato. Per una volta vogliamo seguire le teorie di Gatti. Può darsi che Gatti non sia uno stinco di santo, che le tangenti le abbia prese davvero, che per anni si sia goduto il suo gruzzoletto tenendolo nascosto in qualche banca, ma lascia perplessi il trattamento penale che gli è stato riservato. Il computato Clelio Galassi è stato assolto e gli imputati del “conto Mazzini”, dopo una prima condanna, se la sono cavata in appello con qualche confisca. L’unico, che, dopo la sentenza del Collegio Garante, ha subito una condanna è stato Gabriele Gatti. Ci chiediamo se non ci sia un briciolo di verità nel ritenere che qualcuno voglia tenere Gatti lontano dalla politica. Forse non sarà Buriani, forse non sarà neppure Morsiani, ma non è difficile credere che la presenza di Gatti possa preoccupare qualcuno. Sarà un caso che il giorno dopo la sentenza si sia diffusa la voce che Marco Gatti ha appreso sollevato la notizia della condanna dello zio.

NN

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