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Gabriele Gatti si dimentica di spiegare come è riuscito, per 22 anni, a versare 12.500 euro in contanti al mese. Il difensore invoca le testimonianze di Ciavatta e Tonnini che però sono state ritenute inattendibili da tre giudici diversi

Tratto da L’Informazione del 5 ottobre 2022

“NON SUFFRAGATE DA PROVE” LE DICHIARAZIONI DI CIAVATTA E TONNINI USATE DALLA DIFESA GATTI

Ha fatto una certa impressionea una terrorizzata opinione pubblica, che da un po’ teme pure diesprimere la propria opinione peruna sorta di censura che si abbatte oramai anche d’ufficio sullalibertà di pensiero e il diritto dicronaca, il fatto cheGabrieleGatti abbia versato in media in22 anni 12.500 euro in contanti almese. Contanti, “che non erano stipendi, al netto dei libretti”, haspecificato la Procura fiscale nella scorsa udienza.Oggi l’ultimo atto di quel processo con l’arringa difensiva dei legali di Clelio Galassi, che hatenuto un contegno processualecertamente di più basso profilo rispetto all’ex collega di governo.D’altra parte dalla prima udienza – quando un non-giornalista“per conto del Tg5”, disse senzaattestarlo con nessun documento,voleva filmare le udienze e subitoaveva incontrato il compiacente consenso, poi ritirato, della difesaGatti – era già evidente che si volesse puntare alla riabilitazionemediatica. Che magari, se ci saranno gli estremi, avverrà pure.Non c’entra certo lo scenario da “terra da ceci” in tribunaleche ha preceduto anche questo processo, oltre al Mazzini. Scenario evocato, pur parafrasandolodicendo di non aver partecipato ad alcuna “terra da ceci” versola politica, anche dalla Procurafiscale nella sua requisitoria. Comunque, per Procura fiscalee Parte civile, i fatti sono chiari,ci sono e sono inequivocabili,ancorché non punibili alla luce delle note nuove interpretazionidel Collegio Garante dell’agosto 2021. Fatti che hanno fattochiedere comunque la confermadella confisca del denaro ritenutosporco. Per la difesa, invece, non ci sono le prove, i fatti nonerano reato e il processo non doveva neppure cominciare. Oggitoccherà ai difensori di Galassi formulare le loro richieste.Va tuttavia chiarito che l’incipitdell’arringa della difesa Gatti, siè basato su premesse non fondatee non provate, ma comunque utilizzate per sostenere la propria narrazione, che poi è la stessa delfantomatico “colpo di stato”, delprocesso politico, della persecuzione, sostenuta anche nelle sedipolitiche per evidenti finalità di parte.Ma i fatti dicono altro, anche se la verità non si autoimpone, manecessita di essere sostenuta dapersone di buona volontà per potersi affermare o, quanto meno,per rimanere agli atti.Dunque qualche precisazione vafatta sulla narrazione della difesaGatti e in particolare sulle premesse alla tesi dell’avvocato Filippo Cocco. Cosicché, seguendo il ragionamento che lo stessolegale ha ripetuto più volte nellasua arringa, si potrebbe dire chese la tesi non è provata nelle suepremesse, allora non è vera.Il presupposto della narrazione.L’arringa in difesa di Gabriele Gatti da parte dell’avvocato Filippo Cocco, con il singolare siparietto in cui faceva finta dinon sapere che Elena Tonnini eRoberto Ciavatta siano attuali Segretari di Stato agli Interni ealla Sanità, ha spacciato per assodate e certe quelle che si sonorivelate ipotesi, pareri e illazioninon provate. Proprio lui, che ciondolando qua e là con fareteatrale come è solito atteggiarsiquando fa l’arringa, ha sostenuto,una frase sì e l’altra pure, che leipotesi e le illazioni senza provenon hanno diritto di cittadinanzanel processo penale. Quelle degli altri, verrebbe da dire. Perchél’avvocato Cocco, le supposizioni non provate che gli facevanocomodo le ha richiamate. Anzi, leha poste a premessa di quanto hapoi argomentato. Eppure, com’èche ha detto lo stesso Cocco?“Nel processo funziona così: c’èuna tesi, e se la tesi non è provata, decade”. Eggià.In sostanza è partito utilizzandodelle affermazioni degli esponenti di Rete, funzionali alla difesadi Gabriele Gatti, sostenendo chefossero attendibili, ma evitandodi sottolineare troppo che, inrealtà, quelle affermazioni tantoattendibili non erano, poiché non hanno trovato riscontro. Tantoche le accuse inizialmente mossesulla base di quelle dichiarazionisono state oggetto non di una,non di due, ma di ben tre archiviazioni.Tre giudici diversi e divari gradi hanno cioè detto chequelle testimonianze che l’avvocato Cocco ha letto con enfasi– di Roberto Ciavatta, ElenaTonnini e Luca Lazzari – non hanno trovato riscontro probatorio. Erano cioè opinioni, ipotesi,illazioni.La prima indagine archiviata.Gabriele Gatti tramite i suoi legali ha deciso a inizio del 2018di sporgere denuncia per la pubblicazione “Gabriele Gatti incarcere”, libro uscito nel 2015,anni prima dunque, quando l’exSegretario agli Esteri venne postosotto custodia cautelare. Denuncia, tra le altre cose, per rivelazione di segreti d’ufficio e divieto di pubblicazione. A fine 2018– anni dopo dunque – RobertoCiavatta, probabilmente irritatoper la pubblicazione dei verbalidella Commissione affari di Giustiziada parte de “L’informazione di San Marino” – tra l’altropubblicazione legittima comeconfermato dal Collegio Garante– , è andato a riferire spontaneamente – e fuori contesto– che4 anni prima aveva ricevuto unae-mail da Antonio Fabbri con undocumento relativo all’arresto diGabriele Gatti. Chissà come maiquelle affermazioni vennero utiliper il procedimento aperto con la denuncia di Gabriele Gatti, difesodagli avvocati Gian Nicola Bertie Filippo Cocco. Roberto Ciavatta, quello di Rete, a gennaiodel 2019 viene, in funzione dellesue affermazioni fuori contestoin altro fascicolo, chiamato atestimoniare per osmosi nel fascicolo della denuncia di Gatti. Latestimonianza di Ciavatta, resa il31 gennaio 2019, oltre ad esserecontraddittoria, non risulta basatasu dati di fatto, ma su illazionie opinioni.Roberto Ciavatta sispinge in insinuazioni che nonhanno riscontro né fondamento.Non si può dire che in questo non sia stato aiutato dalle domandeambigue formulatedall’agente dipolizia giudiziaria, il tenente Stefano Bernacchia, che a sua voltanon gli chiese di riferire solo sufatti, ma si spinse a domandareal testimone le sue opinioni.Opinioni che si tradussero ininsinuazioni. E quali sono queste insinuazioni? Chiese Bernacchia: “Secondo lei (…) come può essere…” che il giornalista fosse inpossesso dell’ordinanza? E giàqui ci sarebbe da opinare molto sul fatto che un agente di Poliziagiudiziaria chieda a un testimone di riferire le sue opinioni e noni fatti.La risposta del Ciavatta è un capolavoro di insinuazione: “Pensoche Antonio Fabbri, avesse edabbia, un canale diretto con ilCommissario della legge Alberto Buriani e che tramite la predettaautorità sia venuto in possessodell’ordinanza in questione”. Saputo quello che si voleva sentirsidire, l’audizione finisce lì. Non sichiede al testimone come facciaa dirlo, se abbia delle prove diquesto, ma si verbalizza e si dàcredito ad una pura illazione.La “genialata” dei metadati.L’avvocato Cocco, citando il tenente Stefano Bernacchia comeun oracolo dell’informatica, haritirato fuori la storia dei “metadati” del file sull’arresto di Gattiinviato a Ciavatta, sostenendo che quel file aveva gli stessi “metadati” del file dell’ordinanza. Giocando così sulle parole sivorrebbe fare intendere che il filecoincideva con quello della magistratura. E invece non è così.I “metadati” del file inviato a Ciavatta coincidevano con quelli del file usato da “L’informazione” per realizzare la pubblicazione “Gabriele Gatti in carcere”.Maddai? Era lo stesso, per forza.Ma non era affatto lo stesso dellamagistratura.Pure questa genialata dei “metadati” non sta dunque in piedi, anche se ripetuta come un mantra,tanto che pure Ciavatta l’ha voluta dare ad intendere parlandone asuo tempo in Consiglio. D’altra parte, che la storiella dei“metadati” non stia in piedi, èattestato dall’archiviazione delcaso per ben tre volte.Tre archiviazioni. La prima.Arriviamo alle tre archiviazioniche accertano quindi come le dichiarazioni rilasciate da RobertoCiavatta, Elena Tonnini, LucaLazzari e compagnia cantante insede giudiziaria, non siano cosìdogmatiche come vorrebbe l’avvocato Cocco, ma per la verità, alcontrario, non hanno trovato proprio alcun riscontro probatorio.Così, nel decreto di archiviazionedatato 4 ottobre 2019 relativoa quel procedimento penale, i Commissari della Legge Laura di Bona e Simon Luca Morsiani, scrivono:“Non è possibile sostenere ulteriormente una contestazionedi reato ipotizzato sulla basedi argomentazioni di caratterededuttivo-induttivo”. E ancora“resta tuttavia indimostrato ilreato di rivelazione a carico diun pubblico ufficiale”, giusto percitare un paio di passaggi circa la contestazione di “rivelazionedi segreto d’ufficio” in concorso.Ma anche per l’altra contestazione di “Pubblicazione di attisegreti inerenti un procedimentopenale”, l’archiviazione vienestabilita nel merito, nonostante il reato fosse comunque già prescritto, “per l’obiettivo interessepubblico rivestito dalla notizia: ciò che consente di scriminare lacondotta de L’Informazione”.La seconda archiviazione.Gli avvocati di Gatti, impugnano l’archiviazione. Il giudicedi appello, Giuseppe Severini – con la sentenza 31/2022 del 22aprile 2022 – nel confermare ledeterminazioni degli inquirenti,rigetta l’impugnazione e conferma l’archiviazione scrivendochiaramente: “circa i denunciati reati di rivelazione di segreti diufficio e pubblicazione di attisegreti inerenti un procedimento penale, in disparte riferiti episodi singoli (es. come riferiti daCiavatta Roberto) che però nonappaiono suffragati da prove (…) resta fermo quanto assunto nelprovvedimento di archiviazione”.E siamo a due, anche se l’avvocato Cocco ha inteso riprendereancora per buone quelle affermazioni “non suffragate” da prove.Il teorema cadeper la terza volta.Il teorema cadeper la terza volta,assieme al teorema del colpodi Stato. Nella archiviazione diquel castello mutuato dalla politica che si è servita – e si serveancora – della giustizia per finipoco nobili, il Commissario dell alegge Elisa Beccari, con una affermazione più insinuatoria che di sostanza per la verità, riesumava la narrazione di Ciavatta edei difensori di Gatti, e diceva in sostanza: qualche violazione c’è,ma non si può procedere perché prescritto… ignorando che, per laverità, quei medesimi fatti eranogià stati archiviati nel merito. Ebbene, su questa postilla, diciamosuperficiale, del CommissarioBeccari, è intervenuto di nuovo,in seguito a ricorso del Commissario Buriani, il giudice GiuseppeSeverini, che con ordinanza28/2022 ha imposto addirittura di modificare quella frase delprovvedimento della Beccari chedi fatto insinuava che qualche irregolarità ci potesse essere. Invece così non è e per questo ilgiudice Severini ne ha imposto la modifica con una dicitura checonfermasse l’archiviazione nelmerito “per mancanza di prove idonee” a dimostrare le accuse. Non c’è altro da aggiungere. a.f.

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