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Nuovi poveri, la voce degli invisibili di Milano: “Tutti promettono ma Meloni è brava”

MILANO – Sul tavolo del soggiorno, illuminato da poca luce e gonfio di fumo di tabacco, ci sono due scatole di biscotti, pile di tovaglioli di carta, succhi di frutta, tre pacchetti di sigarette, due accendini. “E chi devo votare? – chiede Gianmarco che vive con la compagna Rosa in questa casa Aler al primo piano di un palazzo di ringhiera anni ’60 – Berlusconi“. E Salvini? “Magari!”. Perché? “Boh”. Rosa: “Io non vado a votare”. Gianmarco dice che lei mente e la donna sorride.

Quartiere Corvetto, pomeriggio. Indigenza vera, analfabetismo, storie durissime e difficoltà personali, problemi di salute, disagio. Rosa è minuta, i capelli a spazzola. Gianmarco cammina con il girello, si è rotto due costole in una caduta in casa. Se non fosse per i volontari della Comunità di Sant’Egidio che passano a trovarli e portano cibo e vestiti, Rosa e Gianmarco sarebbero completamente abbandonati a loro stessi. Dimenticati da figli e nipoti, l’oblio del mondo fuori. Poveri. Nuovi poveri. Vecchi poveri. Emarginati, senza tetto, senza lavoro, senza casa, senza diritti, senza speranze. E, intanto, le elezioni alle porte. Per chi votano gli “invisibili”, se votano?

Questo viaggio inizia dal Corvetto dove Stefano Pasta e Matteo Ghidotti raccontano che la domenica portano i ragazzi stranieri a trovare gli anziani italiani: “Creiamo alleanze sociali per combattere il disagio. È un quartiere dove c’è molto da fare e non sempre la politica risponde”. Viale Toscana, numero civico 28. L’insegna “Pane Quotidiano” e il grande murale con la mano che consegna il pane a due mani aperte. Per i poveri e gli emarginati di Milano è un porto sicuro. Ogni giorno dalle 8 alle 11 (tranne la domenica) distribuzione di pacchi alimentari: 1.500 buste al giorno, con le 1.700 del centro di viale Monza fanno 3mila. Franca, 76 anni, profuga istriana. “Voto Meloni, che almeno ci da da mangiare. E poi ama gli animali e la natura. I comunisti no, mi fanno schifo”. Abita in zona Gola, tre fermate di autobus per arrivare qui. I ragazzi con la maglietta arancione le hanno appena offerto formaggio, frutta, cracker, biscotti, latte. “Però vorrei una bella bistecca”. La gente si mette in fila: quanti di questi lo faranno anche ai seggi domenica? Tira aria di astensionismo e rassegnazione.

“Tutti promettono. Io votavo Dc perché mantenevano le promesse. Non so se voto, sono tutti pagliacci e Draghi è un pupo. Meloni e Salvini, forse, ecco… Forse loro”. Sul braccio di Umberto Cinquervi c’è scritto “odio gli infami, amo l’onestà”. Una rosa (“la purezza”) e un coltello (“gli infami”). Due figli, 640 euro di pensione, 250 di affitto. “Io dico: gli italiani prima di tutti gli altri, no?”. Roberto e Anita sono a due metri da lui. Vengono dall’Equador. Tre figli piccoli, lavoro a chiamata, pulizie. “Meloni è brava”. Anche se chiude i confini e blocca le navi? “Cosa vuol dire?”. “Pane Quotidiano” come la Caritas, come la Casa della Carità. Code di gente affamata, uomini e donne perse, tanti stranieri. Olga, da Cherson. È a Milano da anni. “Mio figlio e mia nuora sono scappati da Cherson 10 giorni fa. Per chi voto? Meloni o Salvini. Se vado. Perché forse domenica lavoro”.

La mattina alle 8 in viale Toscana vedi i nuovi poveri. Come Giovanni Alfano, 54 anni, di Napoli. “Non lavoro da 4 mesi, prima facevo l’operatore ecologico. Io voto Conte, è una persona seria e il reddito di cittadinanza con lui rimane”. Ci sono persone che si trascinano come ombre. Qualcuno arriva con il trolley sgangherato, il capo chino, lo sguardo svuotato. Alcuni hanno per mano figli piccoli. “C’è chi è rimasto senza lavoro dall’oggi al domani e non sa come mangiare”, raccontano i volontari Enrico e Arduino mentre smistano le derrate alimentari. “Tanti giovani, anche”. Davide, 30 anni, da Baggio. “Dalla politica non mi aspetto niente, non voto”. Anna Spina, 80 anni, al Pane Quotidiano viene due-tre volte la settimana. “Ho fatto l’insegnante 40 anni alle elementari. Adesso dico Meloni: è donna e giovane”. Ha convinto anche Rosanna, 780 euro di pensione minima, figlio ancora in casa e nipote di 8 anni. Si torna al Corvetto. Tra le case popolari, le auto in sosta da mesi coi pneumatici a terra, la puzza di urina resa pungente dal sole agli angoli delle strade.

Due Rsa comunali e una densità di minori come pochi altri quartieri milanesi. Arriva Amin, 24 anni, marocchino. Ha studiato ingegneria meccanica, una storia di riscatto. “Prima stavo con gente brutta, facevo cavolate; adesso nel quartiere mi vedono come un modello positivo. Quattro anni come tornitore. Ho preso la patente per i camion e posso fare qualsiasi lavoro. Se voto? Si. Sempre a sinistra. Bisogna accogliere e aiutare”.

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