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Maputo, Mattarella ricorda il piroscafo affondato nel '42 dai tedeschi: “L'Italia non dimentica il soccorso dei mozambicani”

È una di quelle storie dimenticate che nessuno ricorda. Alle sette del mattino del 28 novembre 1942, al largo delle coste del Mozambico, il piroscafo inglese Nova Scotia, con a bordo 1200 prigionieri, la metà dei quali italiani, venne affondato da due siluri lanciati dal sommergibile tedesco U-177. Si salvarono soltanto 117 italiani e 64 fra sudafricani e inglesi. Tutti gli altri furono inghiottiti dall’oceano, molti divorati dagli squali. I nazisti erano convinti si trattasse di un cargo mercantile, quando si accorsero che avevano sparato su una nave che trasportava soldatiu alleati allertarono i soccorsi. Il cacciatorpediniere portoghese Afonso de Albuquerque, al comando del capitano Josè Augusto Guereiro De Brito, raggiunse il luogo del disastro alle 5,45 del 30 novembre: i naufraghi pregavano sulle zattere di salvataggio. E a quel punto “cominciò la frenetica ricerca dei superstiti che si prolungò per tutta la notte”, come ha ricostruito il sito www.navenovascotia.it. “Il cacciatorpediniere Afonso de Albuquerque, carico dei superstiti, attraccò nel porto della città di Lourenco Marquez (ora Maputo) nel Mozambico portoghese dove il comandante, nonostante le pressioni del comando britannico, tratterrà i reduci italiani che saranno curati negli ospedali di quella città neutrale, mentre i soldati inglesi e boeri saranno avviati verso il Sudafrica”.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, oggi in visita di Stato a Maputo, la capitale del Mozambico, ci ha tenuto a dire che “l’Italia non dimentica il soccorso e l’accoglienza che i mozambicani offrirono ai superstiti del piroscafo Nova Scotia, affondato durante il secondo conflitto mondiale, al largo delle coste del Mozambico, mentre trasportava diverse centinaia di prigionieri di guerra italiani e di civili destinati ai campi di internamento in Sud Africa”.

Molti dei superstiti si stabilirono lì, altri invece tornarono in Italia. Erano stati prigionieri degli inglesi in Eritrea ed Etiopia. Mattarella ha voluto ricordare questo episodio per testimoniare la generosità del popolo mozambicano nei confronti di noi italiani, e per ricordarci che la ruota della storia inesorabile gira. Lo ha fatto nel discorso prima della cena ufficiale col presidente Filipe Jacinto Nyusi: “I destini dell’umanità sono indivisibili: non vi può essere indifferenza verso chi manca dei mezzi essenziali di sussistenza e verso chi soffre per amore della propria libertà e indipendenza. Non vi può essere , ogni volta che la dignità di ciascun uomo e di ciascun popolo viene oltraggiata: l’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina vede il riemergere di dottrine, come il militarismo e l’imperialismo, condannate dalla storia e che eravamo persuasi avessero lasciato spazio alla pacifica convivenza fra i popoli e alla collaborazione internazionale. Non si può tollerare che – come avvenuto in passato – Paesi più piccoli e deboli vengano considerati prede dagli Stati più grandi e potenti. Tutto questo accade in Europa, ma le conseguenze colpiscono l’intero pianeta e lo stesso continente africano, dove milioni di persone rischiano di soffrire della crisi alimentare causata dall’invasione. L’Africa, con la sua scelta lungimirante di rispettare la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i singoli Stati, grandi e piccoli, può senza dubbio offrire un importante contributo per promuovere il dialogo. Non possiamo né dobbiamo arrenderci al costume della guerra”.

Mozambico, il presidente Mattarella accolto all’aeroporto con una danza tradizionale

“Il nostro legame – ha detto il Capo dello Stato – si è ulteriormente consolidato, sin dagli anni della decolonizzazione, grazie alle iniziative di cooperazione di cui sono state protagoniste tante realtà italiane – dalle università ai numerosi Comuni e alle organizzazioni non governative – che con il loro impegno hanno reso concreta la vicinanza dell’Italia e della sua società civile al Mozambico”. E anche stavolta, come 80 anni fa, chiediamo al Mozamnico di darci una mano, stavolta per il gas mentre un’altra guerra infuria violenta alle nostre porte.

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