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L’attendismo del Segretario Tonnini tra oscenità e prestigio istituzionale

Sono passati quindici giorni da quando Giacomo Simoncini ha lasciato la carica di Capitano Reggente e, ancora, il Segretario Elena Tonnininon ha comunicato quali iniziative ha intrapreso il governo per assicurare che venga fatta chiarezza su ciò che è accaduto a Palazzo Pubblico.

Nel corso della conferenza stampa dello scorso 22 marzo, il Segretario Tonnini aveva assicurato vicinanza alle vittime di violenza e aveva aggiunto che non sarebbe stata usata la sordina per silenziare la verità.

A questo proposito abbiamo già scritto nei giorni scorsi e non ci vogliamo ripetere. Però continuiamo a pensare che le parole del Segretario agli interni siano state improvvide perché, nell’alternativa tra difendere il prestigio del capo di Stato, da un lato, e tutelare la dignità delle donne, dall’altro, ha subito preso le difese del più forte, invocando il prestigio della carica come se si trattasse di un salvacondotto.

Sappiamo bene che spetta ai giudici accertare la verità processuale. Non ci vogliamo sostituire al tribunale per giudicare se il Capitano Reggente Giacomo Simoncini abbia o meno commesso le oscenità punite dalla legge penale. Quel giudizio non spetta a noi. Vogliamo però capire perché San Marino ha perso l’occasione per dimostrare che chiunque commette violenza nei confronti di una donna è fuori dalle istituzioni. Non importa che si tratti di uno sconosciuto o del Capo dello stato, la violenza contro le donne è inaccettabile a prescindere da chi ne è l’autore.

Per risolvere la questione non occorreva invocare l’immunità della Reggenza, né, tantomeno, il rispetto verso la suprema magistratura. Sarebbe bastato dar voce all’altro Capitano Reggente per sapere che cosa c’era di vero in quello che riferivano le cronache giornalistiche. E se, come dicono i ben informati, i fatti fossero stati confermati, non c’era altra alternativa che invitare Simoncini alle dimissioni. Questo era l’atto di rispetto verso la carica reggenziale che occorreva compiere.

Invece alla violenza del Reggente si è aggiunta l’improntitudine del Segretario agli interni che, per non turbare la magnificenza del semestre reggenziale ormai giunto al termine, ha imposto il silenzio. Nei giorni successivi, non a caso, i soliti noti hanno cercato di zittire chi esprimeva il proprio disappunto con la minaccia, codice penale alla mano, di ritorsioni giudiziarie per vilipendio della Reggenza.

A distanza di due settimane dalla fine del mandato, il Segretario Tonnini non ci ha fatto sapere che cosa ha fatto perché emerga la verità. Attendiamo con trepidazione, ma il silenzio ci preoccupa. Non vorremmo che agli abusi di certi uomini di potere si aggiungessel’attendismo compiacente di chi non fa nulla. Quando il governo asseconda il comportamento del potente che sbaglia, anziché fermarlo, si esce dall’ambito del politicamente corretto e si entra nel campo della patologia istituzionale. Alla legge uguale per tutti si sostituisce una bella pacca sulla spalla. Il paternalismo del potere è l’altra faccia del machismo sporcaccione, che continua ad essere tollerato con spirito cameratesco, proprio come ai vecchi tempi, quando a comandare (e a votare) erano solo gli uomini.  

PG

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